Il 19 Aprile 2018 è stata divulgata la notizia dell’uccisione a sangue freddo della Maestra Olivia Arévalo Lomas, una anziana sciamana dell’etnìa Shipibo che viveva in un piccolo insediamento indigeno urbano nei dintorni di Pucallpa, Perù.

Le prime notizie che sono circolate dipingevano l’accaduto come l’ennesimo ambientalista indigeno che difendeva i diritti del suo popolo e della foresta, ucciso dalle multinazionali del petrolio.
Questo perché a sparare i 5 colpi in pieno petto che l’hanno uccisa (alcuni riportano 3, altri ancora 2) è stato un gringo, che da quelle parti significa uno straniero, un occidentale: con questi presupposti alla stampa ha fatto subito gola prendere la palla al balzo e descrivere l’accaduto in modo da alimentare il mito collettivo del ‘buon selvaggio’ che difende la sua terra, ucciso dai poteri forti dell’occidente colonizzatore e sfruttatore.
Strumentalizzazione politica
Per quanto sia una bella immagine romantica, non bisogna mai alimentare la creazione di miti di nessun tipo, per quanto rassicuranti e piacevoli siano. La verità prima di tutto. E la verità è che Olivia non era un’attivista e che non aveva nessuna intenzione di impicciarsi di alcuna questione politica. Come del resto qualsiasi Shipibo di mia diretta conoscenza.
Ma si sa, ai media piace distorcere le notizie, per strumentalizzarle a fini politici: 1) perché ci vuole meno fatica a raccontare una storia che ‘suona’ come tante altre, piuttosto che fare una ricerca approfondita; 2) perché fa più audience cavalcare un tema caldo piuttosto che dire le cose come stanno. E così per qualche giorno alla storia è stato attribuito il copione dell’ennesimo leader indigeno che difendeva i diritti del suo popolo, ucciso da qualche faccendiere delle multinazionali.
Che sconcerto! Che oltraggio! Che indignazione!

Tuttavia immediatamente nei commenti ai post di facebook del gruppo privato ayahuasca – il più grande gruppo dedicato all’ayahuasca che si può trovare in facebook – si leggevano opinioni diverse e contrastanti. Spesso a riportarle erano persone che si trovavano a soggiornare nell’area in quel preciso momento o che conoscevano direttamente la Maestra e la sua famiglia, quindi potevano dare notizie di prima mano.
La verità di chi c’era
Questi commenti precisavano che i fatti si erano svolti come segue:
un gringo si è avvicinato alla casa della Maestra Olivia la mattina di venerdì 19 Aprile 2018, cercando il figlio di lei, che da qualche giorno risultava introvabile e che era in debito con lui. Al rifiuto di lei di dirgli dove suo figlio si trovasse, l’uomo ha estratto la pistola e sparato 5 colpi a sangue freddo uccidendola all’istante. Poi sarebbe immediatamente scappato con la sua moto.

Il racconto da subito non sembrava quello di un’esecuzione organizzata da poteri forti: questi poteri non fanno le cose in modo così grossolano e visibile, agiscono nell’ombra, non lasciano traccia, fanno di tutto per occultare le loro azioni malvagie. Sembrava più che altro il gesto sconsiderato di un singolo uomo non del tutto in sé.
Il gesto probabilmente non avrebbe avuto tutto l’eco che sta avendo ora, fino ad arrivare a comparire in testate mainstream come Dagospia, Greenme e Corriere, se non fosse che a pochi giorni di distanza un’altra notizia macabra ha fatto seguito all’efferato crimine: un turista Canadese è stato linciato dalla folla inferocita che lo riteneva responsabile dell’uccisione dell’anziana sciamana, e il suo cadavere è stato ritrovato sepolto a pochi chilometri dal villaggio in cui è avvenuto l’omicidio.
Il sovvertimento degli eventi nei media
Ovviamente questa notizia ha dato il via a un’escalation di reazioni febbricitanti nei giornali di tutto il mondo, ci sono tutti gli ingredienti perché diventi una ‘hit’.
Ecco che l’anziana sciamana è diventata “proprietaria di un lucroso centro di ayahuasca”, e il canadese uno “studente di medicina amazzonica” quasi estraneo alla vicenda e usato come ‘capro espiatorio’ da ‘quei primitivi’ degli Shipibo, cui piace farsi giustizia da soli.
Questi media in pratica o fanno ruotare tutto intorno a un tema che non c’entra assolutamente niente con quanto accaduto (il movente ambientalista) o mettono al centro della vicenda il linciaggio del Canadese, sottintendendo, con un sottile razzismo, che i popoli indigeni e l’ayahuasca sono un pericolo per i turisti che si recano in visita nelle loro terre.
Perdonatemi, ma la notizia è l’assassinio della sciamana.
Olivia era chiamata “Leader della popolazione indigena Shipibo” non perché fosse un’attivista, ma perché secondo le tradizioni di questa etnia una sciamana con le conoscenze della Arévalo è naturalmente un leader-maestro-medico, un Onaya-Muraya, nella loro lingua.

E’ stata definita una biblioteca vivente delle tradizioni del suo popolo, soprattutto per la grande conoscenza dell’ayahuasca e degli altri rimedi usati dalla medicina tradizionale amazzonica. Di sicuro non andava in giro a mettere i bastoni tra le ruote alle multinazionali del petrolio.
Sciamani e ‘lucrosi’ centri di ayahuasca
Né tantomeno era proprietaria di un “lucroso centro di ayahuasca”: è piuttosto vero il contrario, questi indigeni vengono ormai da decine e decine di anni – da quando cioè è scoppiato il business dell’ayahuasca – sfruttati dagli occidentali che vanno in Perù e fondano i loro centri: vengono pagati una miseria, a fronte del loro immenso lavoro e conoscenza che permette agli occidentali di arricchirsi e gestire centri, questi sì, lucrosi.
Non hanno nessuna garanzia, assicurazione sanitaria, contratto etc., sottostanno a ritmi e regole rigidissime da parte del ‘capo bianco’, e quando non servono più vengono scaricati come stracci vecchi.

Può anche essere vero che suo figlio avesse aperto un suo centro di ayahuasca nei dintorni di Pucallpa e che lei ovviamente gli desse una mano, e sarebbe anche ora che i guadagni di queste attività andassero a chi ne è vero artefice e conoscitore, ma non si può certo dire che fosse un centro ‘lucrativo’. Nella maggior parte dei casi infatti quando sono gli stessi indigeni ad aprire dei centri, questi non hanno le competenze di business e di marketing necessarie a far ‘quadrare i conti’ e a condurre ‘business lucrativi’.
Alla ricerca della cura miracolosa…
Piuttosto le ragioni del gesto sconsiderato vanno ricercate in ciò che aveva spinto il canadese (SE è stato lui, perché altri commenti suggeriscono persino che potrebbe non essere lui il vero colpevole!) a recarsi in Amazzonia e a cercare l’aiuto dell’ayahuasca. Aveva infatti aperto un GoFundMe per raccogliere i soldi necessari a recarsi in Amazzonia: si può leggere qui che il suo obiettivo era imparare a curare i problemi di dipendenza con l’ayahuasca, desiderio che aveva maturato dopo che un suo parente era caduto vittima di questo problema.

Ma, come evidenzia un’intervista ad alcuni suoi amici di lunga data, sembra che il viaggio in Amazzonia lo avesse invece turbato e cambiato molto. Sembra quindi che il gesto sia più relazionato con il suo stato mentale instabile che con qualsiasi altra storia di soldi o di diritti ambientali. Sembra anche che prima di spararle si sia fatto cantare un ultimo ikaro, o che le abbia sparato perché lei non voleva cantargli un ikaro, o che addirittura l’abbia abbracciata prima di sparargli.
Sembra anche che il canadese avesse ripetutamente minacciato di morte la famiglia di Olivia nei mesi precedenti, da quando durante una cerimonia gli erano stati rubati gli effetti personali, del quale furto aveva ripetutamente e insistentemente chiesto di essere risarcito, senza ricevere risposta. Sembra anche che la popolazione Shipibo del piccolo villaggio avesse già sollevato più volte con polizia il problema delle minacce, che l’avesse informata che il gringo stava comprando armi a fuoco, ma che la polizia lo avesse sempre rilasciato.
Vendetta privata vs pubblica ingiustizia
Questa sarebbe poi la ragione che ha portato i membri del villaggio a farsi giustizia da soli: ai loro occhi la giustizia dello stato aveva fallito nel proteggerli da un crimine annunciato, e non sarebbe quindi stata in grado di fare giustizia a crimine avvenuto.
La verità è che la verità non si saprà probabilmente mai

L’unica cosa che manca in tutte queste supposizioni è un movente. Ecco perché il movente più probabile è da ricercarsi nell’instabilità emotiva dell’uomo.
Sono tutte supposizioni certo, ma divulgate da persone che attualmente si trovano sul posto e che raccolgono informazioni di prima mano.
La verità è che la verità non si saprà probabilmente mai, ma che è quanto mai lontana dall’immagine di un popolo di primitivi che lincia un malcapitato straniero occidentale, o di un’attivista ambientale fatta fuori dai poteri forti.
L’unica cosa che si può dire con certezza è che queste notizie non fanno bene all’ayahuasca, a livello internazionale, generando una ripercussione negativa nel modo in cui questa medicina viene percepita.
Non è la prima volta che la medicina si trova al centro di temi controversi, come il caso del canadese che aveva ucciso l’inglese durante una cerimonia nel 2016, o come l’adepto che aveva sparato al Padrino del Santo Daime tanti anni fa in Brasile, anche lui per sue turbe mentali mai superate malgrado, anzi forse acuite da, le cure intraprese con l’ayahuasca.
Quello che possiamo aggiungere a questa triste vicenda, oltre le sentite condoglianze alla famiglia della Maestra Olivia e a quella del canadese Sebastian Woodroffe, di cui ad ogni modo condanniamo nella maniera più assoluta l’esecuzione sommaria, è sottolineare ancora una volta che con l’ayahuasca bisogna fare attenzione.
Non fidatevi assolutamente di chi vi dice che è una panacea per qualsiasi male, che vi guarirà dalla depressione e dalla dipendenza in un week end, in chi cerca di vendervi la pillola miracolosa.
Addentrarsi nei meandri della psiche e dell’inconscio, e dei mondi spirituali, è una cosa serissima che va fatta con persone serie e fidate.
E’ nostra precisa responsabilità informarci fino allo stremo delle forze sulle credenziali dei facilitatori/sciamani con cui ci viene offerto di lavorare.

Si laurea in Sociologia nel 2001 alla Sapienza di Roma, con una tesi sull’uso contemporaneo di sostanze psichedeliche. È ricercatrice spirituale dal 2004 e apprendista di medicina tradizionale amazzonica dal 2017. È autrice della trilogia autobiografica “Storia d’Amore e d’Ayahuasca”.