psicofarmaci e psichedelici destino comune

Psicofarmaci e psichedelici: un destino comune se non si cambia paradigma

con decreto ministeriale del 23 febbraio del 2022 il governo italiano ha inserito l’ayahuasca in tabella 1 (leggi qui »). Questo articolo non vuole incitare all’uso dell’ayahuasca ma solo informare, in un’ottica di riduzione del danno, chi ne continui ugualmente a far uso.

Una riflessione di Annalisa Valeri, psicologa e psicoterapeuta orientata agli stati di coscienza come risorsa per l’individuo, sulla necessità di cambiare paradigma nell’approccio alla cura della malattia mentale.

di Annalisa Valeri

Su psicofarmaci, psichedelici e logica biologista

Partendo dalla lettura del testo di Joanna Moncrieff, “Hablando claro: Una introducción a los fármacos psiquiátricos (Psicopatología y Psicoterapia de la Psicosis)” (Spanish Edition), vorrei condividere alcune riflessioni. Joanna Moncrieff è una psichiatra e accademica britannica. È Professoressa di Psichiatria Critica e Sociale all’University College di Londra e figura di spicco nel Critical Psychiatry Network1.

L’idea sostenuta dall’autrice, che mi ha colpito, è quella per cui i farmaci psichiatrici sono sostanze psicoattive in grado di provocare uno stato modificato di coscienza. Uno stato modificato per sottrazione, dato che, prevalentemente, produce l’effetto di rallentare pensieri, ovattare emozioni e percezioni. Ma comunque uno stato diverso da quello ordinario.

Joanna M. parla di un modello centrato sulla malattia, che è quello più diffuso e spesso accettato dalla gran parte della società occidentale, senza essere messo in discussione, che ritiene che lo psicofarmaco agisca correggendo uno squilibrio biochimico del cervello, ritenuto anomalo nelle persone che manifestano sintomi psichiatrici.

Questo modello prevede che il farmaco inverta il processo biologico soggiacente alla malattia. Quindi un neurolettico invertirebbe lo squilibrio biochimico origine della malattia. Legato a questo c’è l’idea che la malattia mentale sia paragonabile a quella fisica. Gli psicofarmaci si comporterebbero come i farmaci che si usano per problemi fisici e che, appunto, intervengono sulla malattia (ad es. il protettore gastrico riduce l’acidità di stomaco, causa della gastrite).

Joanna M. propone un altro modello, quello centrato sul farmaco, in cui l’idea è che lo psicofarmaco è una sostanza psicoattiva in grado di produrre uno stato non ordinario di coscienza (cioè un diverso modo, temporaneo, di funzionamento della mente), nel quale ci potrebbe essere una sovrapposizione degli effetti del farmaco sui sintomi del disturbo mentale, con possibili effetti benefici su questi ultimi.

Il farmaco agirebbe sui sintomi e non su un’ipotetica malattia sottostante.

Il paragone potrebbe essere quello dell’alcol che riduce ansia, rigidità muscolare, ecc. in una persona con ansia sociale. L’alcol non cura la malattia ipoteticamente soggiacente ai sintomidi ansia sociale, ma agisce sui sintomi, sovrapponendo i suoi effetti su quelli psichiatrici e sciogliendo alcune manifestazioni di malessere.

Questa idea mi sembra molto interessante in un momento di rinascimento psichedelico in cui si sta sempre più ponendo l’attenzione sulle possibilità terapeutiche degli psichedelici (che producono stati non ordinari di coscienza).

Mentre gli studi e le ricerche si accavallano, producono prove di efficacia, cambiano il pensiero comune sulla pericolosità degli psichedelici e generano cambiamenti politici e legislativi (ad es. in alcuni Stati dell’America), si sente sempre più spesso parlare di psichedelici come “nuovi farmaci”.

Novità nel panorama italiano

E’ di poco tempo fa la notizia che in Italia Sintalica Bioscience, una società che studia le sostanze psichedeliche e propone trattamenti innovativi per i disturbi neuro infiammatori, ha ricevuto, tramite l’Università degli Studi di Messina, le autorizzazioni del Ministero della Salute Italiano per la coltivazione di funghi Psilocybe ed estrazione di triptamine e l’avvio dei test di sicurezza ed efficacia, relativamente al suo programma di sviluppo di farmaci.

La notizia è ottima, è un cambiamento di rotta necessario nell’utilizzo degli psichedelici in Italia. C’è inoltre un’altra ricerca con la psilocibina, già approvata ma più piccola, che si sta svolgendo a Roma. Tuttavia l’idea che gli psichedelici siano sempre di più inclusi nella categoria dei farmaci mi inquieta molto.

La parola greca “pharmacon”, che significa cura ed anche veleno, può essere estesa senza dubbio agli psichedelici oltre che a farmaci e psicofarmaci, così come alle Piante Maestre, e infatti l’Ayahuasca viene definita dagli stessi curanderi tradizionali “la Medicina“.

Ma c’è un concetto più ristretto ed asfittico di farmaco che si ripropone nella nostra società ed è quello relativo al modello biologista di cui parla Joanna Moncrieff, cioè che il farmaco è la sostanza che cura il disequilibrio anomalo ed anormale e riporta alla normalità. Cosi come lo psicofarmaco porterebbe alla normalità il cervello malato, un’altra medicina riporta l’equilibrio ad un organo malato.

Anche lo psichedelico corre il rischio di entrare in questa logica e sottostare al Modello centrato sulla malattia.

Questo concetto di farmaco è ristretto ed asfittico perché guarda solo all’effetto biologico tralasciando qualsiasi altro aspetto curativo del farmaco (e dello psichedelico).

Gli psicofarmaci come droghe

Joanna Moncrieff analizza il perché i disturbi mentali hanno iniziato ad essere assimilati sempre di più alle malattie organiche e, fra le varie ipotesi, parla degli interessi commerciali delle case farmaceutiche che avrebbero piegato a logiche commerciali le ricerche e distorto i risultati, per esempio portando a pubblicare studi che mostrano effetti positivi degli psicofarmaci e non pubblicare quelli che danno risultati negativi, creando così un effetto di amplificazione dei risultati positivi.

L’idea che il farmaco corregge un’anomalia del cervello avrebbe prodotto un aumento nel consumo di psicofarmaci, per es. antidepressivi e neurolettici. Insomma, il Capitalismo avrebbe fatto prevalere il Modello centrato sulla malattia, perché lo psicofarmaco verrebbe innalzato a farmaco sicuro e rassicurante che cura processi biologici patologici.

Molto diverso è pensare che lo psicofarmaco è una droga (in inglese in effetti farmaco si traduce con drug) e che produce uno stato non ordinario di coscienza.

Studi sugli psichedelici che si producono da oltre 70 anni hanno approfondito l’idea che sia proprio lo stato non ordinario di coscienza generato dal viaggio psichedelico a divenire curativo, perché ci pone davanti ad un diverso modo di sentire che non sperimentiamo nello stato di veglia, ci mette a contatto con pensieri, emozioni nuove, scioglie l’individualità per connetterci con gli altri, fa emergere memorie traumatiche, trans generazionali ed esperienze spirituali.

Il viaggio ha bisogno di un contenitore solido, di regole di set e setting che ne consentano l’esperienza.

Sono proprio queste regole che equilibrano le potenzialità del farmaco (pharmacon) a permettergli  di essere cura e non veleno.

L’aspetto innovativo, trasformatore dell’utilizzo degli psichedelici è legato proprio alla possibilità di beneficiare dello stato non ordinario di coscienza e di trasferire le emozioni, le conoscenze e le informazioni vissute durante queste esperienze alla vita di tutti i giorni, integrare cioè gli stati non ordinari di coscienza con quello ordinario. (Queste idee si collocano all’interno di una visuale differente da quella biologista, di superamento della logica duale corpo mente, nella quale i differenti stati di coscienza sono risorse per la persona e non patologia)

Ma purtroppo la preoccupazione che provo è che i primi psichedelici che stiamo utilizzando in Italia, la Ketamina per la depressione resistente e ora la psilocibina, corrano il rischio di venire ridotti alla logica di farmaco in un’ottica biologista.

Nel libretto che accompagna lo Spravato (eschetamina), che si inizia ad usare nelle strutture pubbliche per la depressione resistente ai farmaci, si parla di effetti dissociativi, cioè legati a uno stato non ordinario di coscienza, come semplici effetti collaterali. Anche nel comunicato che oggi fa Sintalica si legge: “L’approccio di Sintalica alla scoperta di droghe psichedeliche si concentra sulla riduzione al minimo degli effetti allucinogeni, migliorando al contempo le forti proprietà antinfiammatorie della molecola psichedelica”.

Il farmaco/psicofarmaco/psichedelico sembra avere valore solo per le sue proprietà su molecole, tessuti e organi.

Osare andare oltre le logiche già conosciute

Credo che occorra una riflessione su questa tendenza che addomestica in logiche già conosciute, che ha mostrato tutti i propri limiti, la cura delle sofferenze delle persone.

Se al posto di ridurre lo psichedelico ad un farmaco nella logica biologista si pensasse di portare lo psicofarmaco (pharmacon) nella categoria di sostanze che producono stati modificati di coscienza, potremmo chiederci quando e in quali situazioni lo psicofarmaco può essere utile e quando si può utilizzare uno psichedelico (ad esempio quando l’angoscia o la produzione delirante viene sentita troppo dolorosa dalla persona che la sperimenta e che accetta volontariamente di prendere temporaneamente psicofarmaci e quando si può intraprendere invece un viaggio psichedelico che apre a livelli differenti).

Lo psicofarmaco infatti produce prevalentemente uno stato di deprivazione sensoriale, che a volte può essere utile e, dall’altra parte del continuum, lo psichedelico apre a nuove esperienze percettive ed emotive, individuali e trans individuali fino ad arrivare a momenti spirituali.

Stati di coscienza “normali e anormali” o risorse per la psiche?

Ci sono alcuni concetti di “Hablando claro” con cui concordo, fra cui l’idea che l’assunzione degli psicofarmaci debba essere libera e concordata (cosi come quella degli psichedelici). Non mi trova d’accordo invece l’idea che le sostanze psicoattive producano uno stato anomalo/anormale del cervello e che durante questi stati non si provano “vere” emozioni. L’affermazione sottende l’idea che lo stato ordinario di coscienza è quello reale e gli altri stati non ordinari avrebbero un grado di valore e di verità minore.

Secondo me, gli stati di coscienza ordinari e non ordinari sono tutti risorse per il soggetto, se vissuti all’interno di cornici di senso e di protezione. Il segreto sarebbe poter apprendere da questi stati, in situazioni di set e setting adeguate, per la costruzione di un Io multiplo (Montecchi, 2000).

L’alcol che disinibisce l’ansioso sociale non sta raccontando bugie, gli mostra un modo diverso di essere e di percepire, che troppo spesso tuttavia non si integra con altri stati di coscienza e non permette di apprendere. E porta l’ansioso sociale a ripetere l’esperienza di ebrezza per riprovare quello stato, mantenuto scisso dallo stato ordinario. Se questo meccanismo si autoalimenta la persona può sviluppare una dipendenza dall’alcol, non arrivare mai ad integrare gli elementi nuovi e non produrre mai un cambiamento in senso evolutivo.

Ci sono esperienze su Lsd e autismo che mostrano come durante il viaggio psichedelico l’autistico può aprirsi agli altri senza paura, anche se non riesce spesso a riportare allo stato ordinario queste sue esperienze nuove.

Il punto su cui ci dovremmo soffermare è come poter utilizzare gli elementi emersi negli stati modificati e come possono essere usati dal soggetto per ampliare il proprio stato di coscienza. Se gli psichedelici saranno usati come i farmaci, con somministrazioni da parte di “esperti” e l’idea che il soggetto sia solo un passivo ricevitore di una molecola, credo che si avranno gli stessi problemi che abbiamo avuto con gli psicofarmaci.

Nel testo Come cambiare la mente2 si parla dell’effetto “palla di neve”, cioè della capacità degli psichedelici di modificare alcuni circuiti cerebrali costituiti(che corrispondono a rigidità comportamentali e di pensiero), con un effetto di scomporre circuiti neuronali esistenti, crearne di nuovi, moltiplicare le vie.

Questi effetti, tuttavia, se inizialmente producono risultati sorprendenti (ad es. possono portare soggetti trattati con eschetamina a non sentire più una depressione vissuta per anni, in modo abbastanza clamoroso) rischiano di non essere duraturiperché le modalità dello stato ordinario tendono a riprendere terreno, se il soggetto non cambia situazioni della sua vita, se ripropone atteggiamenti ed abitudini vecchie, se non apprende dall’esperienza psichedelica, non integra elementi nuovi con quelli già conosciutie non produce attivamente un cambiamento dentro di sé.

E’ il rischio che corrono gli psichedelici se li si applica utilizzando un modello concettuale biologista, spesso implicito e quasi inconsapevole, che non conosce, ignora e spesso tratta con sufficienza conoscenze cmillenarie riguardo gli stati modificati di coscienza.

1) Un’organizzazione psichiatrica con sede nel Regno Unito che è stata creata nel 1999 da un gruppo di psichiatri britannici in risposta alle proposte del governo britannico di modificare il Mental Health Act (MHA) del 1983.

2) Come cambiare la tua mente, M. Pollan – Adelphi 2022

Redazione Ayainfo

Questo articolo è stato tradotto dall'originale e l'autore dello stesso è menzionato all'inizio del testo. Per conoscere maggiori informazioni sull'autore seguire il link che cita la fonte.

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