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Ayahuasca: la medicina è chi la porta

con decreto ministeriale del 23 febbraio del 2022 il governo italiano ha inserito l’ayahuasca in tabella 1 (leggi qui »). Questo articolo non vuole incitare all’uso dell’ayahuasca ma solo informare, in un’ottica di riduzione del danno, chi ne continui ugualmente a far uso.

Non sarà mai abbastanza l’attenzione che poniamo su quanto è importante approcciarsi a questa esperienza guidati da persone affidabili.

di Simona Adriani

Sempre più spesso mi capita di parlare con persone che mi chiedono informazioni sull’ayahuasca, e che sono preparatissime sui suoi meccanismi di azione farmacologica: DMT, betacarboline, MAO inibitori e quant’altro quasi non hanno segreti per loro.

Ma quando comincio a parlare di un altro tipo effetti, quelli cioè che riguardano dimensioni più ‘sottili’, rimangono un po’ di sasso e si bloccano, increduli. Quando per esempio racconto che in alcuni casi l’ayahuasca può persino non dare nessun effetto, loro mi rispondono accigliati: «Come è possibile? Se contiene sostanze che hanno un’interazione con certi recettori del cervello, deve avere effetto per forza!».

Allora si lanciano in altri tipi di interpretazioni: «Forse l’ayahuasca era troppo debole?». Io rispondo che no, che la medicina ha avuto su altre persone, nella stessa serata, effetti ben evidenti. «Allora magari hanno bevuto troppo poco?». «No», rispondo io «non è questo il punto. Possono non comparire effetti anche dopo aver bevuto tre, quattro bicchieri nell’arco della notte.»

«Allora magari certe persone hanno qualche ormone, qualche conformazione fisiologica che contrasta con i meccanismi di azione dell’ayahuasca?». «Veramente le stesse persone possono aver sperimentato in passato, o sperimenteranno in futuro, effetti inequivocabili», controbatto ancora, «quindi non si tratta di resistenze di tipo farmacologico».

A quel punto non sapendo più cosa dire, tirano fuori la storia della dieta pre-cerimonia: «Forse hanno mangiato o bevuto cose con proprietà antagoniste troppo a ridosso dell’esperienza…». Insomma non si vogliono proprio arrendere, non riescono ad aprirsi a una dimensione che sia ‘ulteriore’ rispetto a quella materiale-fisica.

Una dimensione ‘altra’

Ma la verità è invece proprio questa, c’è una dimensione veramente “altra” che accompagna l’esperienza con l’ayahuasca, che non può essere ridotta ai suoi meccanismi di funzionamento farmacologici (anche se quelli è opportuno conoscerli ed hanno il loro giusto peso, soprattutto riguardo alle controindicazioni »).

Nel corso del tempo ho imparato a decifrare ed apprezzare questa dimensione che, venendo anche io da una cultura scientifica e meccanicista, facevo molta fatica a riconoscere ed accettare, all’inizio. Questa dimensione è quella che fa si che l’esito di un’esperienza con l’ayahuasca dipenda da molto di più che dall’ayahuasca stessa.

In questa dimensione a sua volta è possibile rintracciare diversi fattori: dall’ambiente in cui viene svolta la cerimonia, all’energia complessiva del gruppo che interviene, a fattori climatici e congiunturali (periodo dell’anno, luna piena, transiti planetari etc.), senza naturalmente dimenticare il fattore centrale che è il vissuto e lo stato d’animo generale del singolo partecipante.  Senz’altro essendo quella la materia prima con cui l’ayahuasca si trova a interagire, ed essendo quella la parte più variabile tra tutte quelle menzionate, è quella che determina con maggior peso il tipo di esperienza che si avrà.

Tuttavia tra gli elementi di questa dimensione il fattore del “chi” porta la medicina è senz’altro qualcosa che necessita di un approfondimento particolare.

Uomo di medicina

Per chi ha già sentito parlare del concetto proprio alla cultura degli indiani d’America di “uomo-medicina”, sarà più facile capire il discorso. Per gli altri sarà opportuno andare per gradi.

Per prima cosa ritorniamo a un vecchio concetto già spesso enunciato in queste pagine: l’ayahuasca è uno strumento, e come tale deve essere usato da qualcuno, per avere un qualsivoglia effetto. Come qualsiasi strumento se viene usato da chi ha una preparazione e una specifica competenza in materia, produrrà risultati migliori che se usato da un incompetente.

Se per esempio mi trovassi tra le mani uno Stradivari – per quanto sia il miglior violino che si possa incontrare sulla faccia della terra – se io mi mettessi a suonarlo senza avere la giusta preparazione, ciò che ne trarrò saranno solo suoni striduli. Se avessi una preparazione basilare sarei capace di intonare melodie semplici, ma comunque gradevoli. Se invece fossi un Paganini redivivo manderei in estasi il mio pubblico grazie alla mia bravura e al mio talento.

Questo paragone rende molto bene l’idea del discorso che cerco di fare, forse perché la musica stessa è un elemento così centrale nel contribuire a indirizzare l’esperienza con l’ayahuasca, che il paragone rende immediatamente.

La persona che guida il lavoro in questo caso è come il musicista che suona lo strumento, o forse sarebbe meglio sostituire la metafora e parlare di direttore d’orchestra. Si, senz’altro è questa l’immagine migliore: i musicisti di un’orchestra infatti, che nel nostro caso sono tutti i partecipanti della cerimonia, possono anche essere singolarmente degli ottimi professionisti, ma se il direttore d’orchestra non conduce bene, la sinfonia risulterà lo stesso sgradevole.

Chi guida una cerimonia è come un direttore d’orchestra

Suoni stridenti

Questo ultimo punto è così vero che Jonathan Goldman(1) (uno dei più noti esperti mondiali di musicoterapia) racconta nel suo libro “Il potere di guarigione dei suoni”, di un esperimento condotto registrando alcuni parametri fisiologici durante l’ascolto di due diverse esecuzioni musicali della stessa sinfonia, suonata nella stessa Hall di concerti, dalla stessa orchestra, diretta da due diversi conduttori.

Uno dei due conduttori era noto per la sua rigidità, per il suo iper-perfezionismo e per mettere sempre i musicisti in ansia, con continui rimproveri e commenti poco incoraggianti; l’altro invece era stimato per la sua benevolenza, il suo saper tirar fuori il meglio dalle persone senza pressarle né umiliarle, e tutti i membri dell’orchestra lo amavano ed erano felici di lavorare con lui.

Il risultato dell’esperimento fu sorprendente: i valori fisiologici registrati durante la prima esecuzione erano simili a quelli che si registrano in soggetti ansiosi, mentre i parametri registrati durante la seconda erano assimilabili a quelli che si registrano in situazione di calma e rilassamento. Eppure la musica era la stessa, le note non cambiavano di una virgola, il luogo era lo stesso e la persona che ascoltava la musica anche.

Dunque cos’era che influenzava così tanto l’esecuzione da provocare reazioni fisiologiche così diverse?

Evidentemente era il direttore d’orchestra, che nel primo caso metteva così in agitazione i musicisti che – pur riuscendo lo stesso ad effettuare un’ottima esecuzione in quanto professionisti – trasmettevano in maniera molto sottile agli strumenti alcune vibrazioni impercettibili all’orecchio umano, vibrazioni di ansia e di tensione, che però venivano registrate dal corpo di chi ascoltava.

Non è impressionante?

Direttore d’orchestra galattico

Ora trasportiamo tutto questo al nostro campo: una cerimonia di ayahuasca. In questo caso il nostro direttore d’orchestra è chi porta la medicina, chi la offre, chi la distribuisce, chi detta modi e tempi dello svolgersi del rituale. Al pari del direttore d’orchestra dell’esperimento di Goldman, l’influenza che il conduttore dello spazio avrà sull’andamento della cerimonia dipenderà da fattori molto sottili, molto interni, che vanno ben al di là dell’apparente stato di quiete, gentilezza e buona disposizione con cui ci si può presentare.

Il vero livello a cui la sua influenza si farà sentire sarà quello del suo vero Essere, non quello del suo apparire, delle belle parole che dirà in apertura del lavoro, non delle canzoni che canterà, non del suo ‘curriculum’.

La medicina dell’ayahuasca instaura un vero e proprio rapporto di simbiosi con chi la porta, ancor di più se essa viene cucinata direttamente da lui/lei – cosa che dovrebbe essere la regola, ma purtroppo spesso non lo è. Durante l’atto della preparazione infatti passano all’interno della medicina le intenzioni e le vibrazioni di chi sta cucinando, ed è per questo che gli sciamani attenti di solito non fanno avvicinare nessuno durante la preparazione dell’ayahuasca, a parte poche persone fidate di cui conoscono molto bene intenzioni ed energia.

E’ lo stesso motivo per cui soffiano il fumo della loro pipa o del loro mapacho nel bicchiere, prima di consegnarlo al partecipante: stanno ancora una volta infondendo il loro intento, la loro energia, nella medicina.

Mareacción a comando

In quella che è stata la mia esperienza in tutti questi anni ho potuto avvalorare sempre di più questa ipotesi, che si era dapprima affacciata come un dubbio timidamente all’orizzonte dei miei pensieri, e si è poi trasformata in una certezza quasi assoluta dopo averla vagliata alla luce di luoghi, sciamani, e medicine diverse con cui ho lavorato.

tambo rustici nella foresta Amazzonica

La prima volta che si presentò fu durante la mia prima dieta nella foresta Amazzonica, lavorando con una sciamana che non ringrazierò mai abbastanza.

La notte di chiusura del periodo di dieta erano presenti alla cerimonia anche persone esterne che non facevano parte del gruppo di noi dietatori che da una settimana risiedevamo nelle spartane capanne disseminate in quell’angolo di foresta. Uno di loro, una persona piuttosto in là con gli anni e probabilmente alla sua prima esperienza di ayahuasca, ebbe una cerimonia molto difficile, si dimenava e urlava chiedendo disperato “Cosa mi avete dato? Mi avete drogato?”.

La sciamana e il suo compagno dovettero occuparsi a stretto giro di lui per buona parte delle prime due ore dall’inizio del lavoro, perché tentava di alzarsi per uscire dalla maloca, non reggendosi bene sulle gambe e rischiando di cadere, oppure doveva andare in bagno, oppure aveva semplicemente bisogno di essere rassicurato che tutto andava bene, che non era stato drogato e che tutti erano lì per aiutarlo e non per farlo morire.

Fino a quando non si fu completamente calmato la sciamana e il suo compagno rimasero accanto a lui tutto il tempo, potendosi curare ben poco degli altri partecipanti.

sciamana peruviana soffia mapacho sulle mani di un partecipante, per protezione

Io non ebbi nessun effetto fino a quel momento, tanto che pensavo tra me e me “Beh, deve essere una di quelle volte in cui la medicina ha deciso di farmi lavorare su questo piano. Va bene così.Non appena la sciamana si sedette nuovamente al suo posto e ricominciò a cantare per tutti, l’effetto si manifestò e in uno dei modi più sorprendenti e vividi che avessi mai sperimentato.

Fu lì che cominciai a chiedermi: “Che razza di novità è mai questa? Come può essere che l’effetto della medicina abbia ritardato per più di due ore, aspettando proprio la fine del processo difficile di questo signore, prima di entrare in circolo nel mio corpo? Questo non ha alcuna base scientifica, non è certo il processo digestivo che può funzionare a comando, o i recettori della DMT aspettare un qualche segnale esterno per avere il loro effetto…

E fu così che cominciai a pensare che in qualche modo l’intenzione della sciamana avesse guidato la medicina all’interno del mio corpo: sapendo di non potersi occupare di noi aveva fatto in modo che il suo effetto ritardasse a manifestarsi, fino al momento in cui fosse tornata in grado di monitorare la situazione nel pieno delle sue facoltà, perché il signore si era finalmente calmato.

Al luna park delle medicine

Con questa ipotesi guida ho poi successivamente scrutato diversi altri ambiti in cui ho assunto medicina, in vari contesti e con vari tipi di ‘guide’. La mia conclusione è che questo non sempre avviene, solo i veri sciamani – o comunque quelle persone che hanno un profondo legame con la medicina che portano e una profonda conoscenza dello spazio che aprono e delle sue leggi – sono in grado di avere questo controllo sull’effetto della medicina.

In questo caso possiamo davvero dire di trovarci di fronte a un uomo-medicina (o donna) che ha un pieno controllo della situazione, sa proteggere lo spazio da presenze oscure, sa intervenire in caso di attacchi, e sa pulire il campo energetico dei partecipanti. Questo favorirà senz’altro un’esperienza più profonda e più vera.

Sfortunatamente invece sono molte le cerimonie che risultano più essere un luna park scoordinato, in cui vengono gettate le persone senza il minimo controllo, piuttosto che un viaggio sicuro nei reami del super-cosciente. Perché chi non ha questa connessione, né sa minimamente che dovrebbero averla, pensa che vada bene così.

Questo caso è molto frequente negli incontri tenuti dai facilitatori occidentali, che spesso sono convinti che l’ayahuasca faccia tutto da sola, che basti a sé stessa, con un pregiudizio che viene dalla scarsa conoscenza, scarsa formazione e dal clima generale new age che si respira intorno a questi incontri. 

No, l’ayahuasca non basta a sé stessa, al centro di tutto c’è sempre la persona, il suo essere, il suo modo di porsi nei confronti della medicina, la sua sincerità prima di tutto con sé stessa. Dico prima di tutto con sé stessa perché è veramente molto facile auto-ingannarsi, sentirsi pronti, affrontare questa tappa dell’evoluzione del rapporto con l’ayahuasca in maniera superficiale e affrettata.

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Invece dovrebbe essere una decisione presa sempre in piena coscienza e con il massimo dell’attenzione. Perché in definitiva lo spazio che si apre durante la cerimonia, e nel quale quindi si trovano a navigare i partecipanti, dipende dallo sciamano/facilitatore molto più di quanto si creda, che egli ne sia cosciente o meno.

Più la persona che conduce è di sani principi, con un solido lavoro interiore alla spalle, meglio ancora se legato a una qualche tradizione – di cui inevitabilmente porterà con sé il lignaggio – e più le persone potranno muoversi in uno spazio sicuro. Al contrario più la persona viaggia a ruota libera e più lo spazio che si apre sarà creato dalle sue motivazioni più inconsce, dal suo ego, dalle sue proiezioni, paure, bisogni etc..

È purtroppo molto difficile fare questa valutazione, in questo come in tutti i campi del resto, anche perché spesso sono proprio i meno consapevoli quelli che invece si presenteranno con titoli e ‘onorificenze’ varie per gettare fumo negli occhi. Ma perlomeno diffidate di chi dice che “l’ayahuasca fa tutto da sola“, questo è senz’altro il maggior segno di quanto scarsa sia la sua preparazione.

NOTE

1) Jonathan Goldman Il potere di guarigione dei suoni. Edizioni il punto d’incontro, 2007

Simona Adriani

Si laurea in Sociologia nel 2001 alla Sapienza di Roma, con una tesi sull'uso contemporaneo di sostanze psichedeliche. È ricercatrice spirituale dal 2004 e apprendista di medicina tradizionale amazzonica dal 2017. È autrice della trilogia autobiografica "Storia d'Amore e d'Ayahuasca".

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