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I mille modi di bere ayahuasca

con decreto ministeriale del 23 febbraio del 2022 il governo italiano ha inserito l’ayahuasca in tabella 1 (leggi qui »). Questo articolo non vuole incitare all’uso dell’ayahuasca ma solo informare, in un’ottica di riduzione del danno, chi ne continui ugualmente a far uso.

Non esiste un modo di bere ayahuasca migliore degli altri. Sono tutti buoni finché chi guida l’esperienza lo fa in piena coscienza.

di Simona Adriani

L’argomento di cui voglio parlare oggi ha destato la mia attenzione leggendo un post e i relativi numerosi commenti, nel gruppo di facebook “Dieta of Teacher Plants and Trees”, un gruppo chiaramente dedicato alle tradizioni indigene dell’amazzonia, le quali appunto costruiscono gran parte del loro rapporto con l’ayahuasca intorno a questa pratica di dietare le piante maestre.

Una ragazza faceva una semplice domanda: «Avete mai ascoltato musica dal vivo durante le vostre cerimonie con l’ayahuasca?»

Data la natura del gruppo quasi tutte le risposte erano affermative, perché nelle tradizioni indigene lo sciamano canta dal vivo, non pone certo musica registrata. Ma gli utenti non si limitavano a dire «si», aggiungevano commenti del tipo: «cos’altro vorresti ascoltare?», «non farei mai una cerimonia con musica registrata», etc. etc.

Fino ad arrivare a veri e proprie sentenze assolutistiche come «c’è un solo modo corretto di bere ayahausca, ed è quando lo sciamano canta i suoi icaros»

Soprattutto questa classe di commenti mi ha fatto riflettere. Ho pensato «le persone spesso prendono il loro modo di fare le cose e, magari senza neanche conoscerne altri, lo spacciano per assoluto e insostituibile. L’unico giusto». E magari queste persone sono spesso anche quelle con meno esperienza: si affacciano a un nuovo mondo attraverso una porta, si trovano bene – beh, perlomeno si trovano bene, questo è già tanto – e lo considerano per questo l’unico cammino possibile, il migliore.

Accade in tanti ambiti: nello yoga, nello sport, nelle arti, praticamente in qualsiasi area dello scibile umano.

Sarà che io ho sempre avuto al contrario il difetto di essere una gran curiosa, una sperimentatrice insaziabile. E sarà che le mie prime cerimonie di ayahuasca si sono svolte in contesti in cui l’esperienza veniva accompagnata da musica registrata, che io, insomma, proprio non me la sento di considerare il canto e la musica dal vivo l’unico modo “giusto” per bere ayahuasca.

Ogni cosa ha il suo perché, se viene fatta con coscienza, con responsabilità, e con la giusta intenzione.

Voglio dire, avete mai ascoltato la 9^ sinfonia di Beethoven durante una cerimonia di ayahuasca? Ecco, se ne avete la possibilità, fatelo. Oppure i canti dei monaci tibetani? O un’infinità di altre musiche di ispirazione new age – giusto per trovare un termine che le accomuni tutte – che possono guidare l’esperienza verso territori davvero molto, molto, profondi.

Senza nulla togliere al potere degli icaros o alla bellezza della musica dal vivo, accompagnata da chitarre, tamburi, maracas. Come dicevo prima ogni cosa ha il suo perché e non si dovrebbe mia negare il valore di qualcosa senza averlo prima sperimentato.

L’unico limite a questa regola è la coscienza, e la conoscenza, il senso di responsabilità e l’onestà di chi conduce la cerimonia. Questo lo sottolineo ancora perché già mi sembra di sentire i soliti noti che polemizzano: «ma come, proprio tu dici questo, tu che critichi tanto “quelli là”, senza aver mai partecipato a un loro incontro?»

E no cari, siamo su un altro terreno.

Io credo, e ne sono sempre più convinta, che esista in verità una sola regola per discernere un contesto appropriato: la capacità di chi guida la cerimonia. Tutto il resto sono dettagli tecnici, che chi ha intenzioni poco chiare e vuole giocare a fare lo sciamano potrà sempre imitare nella forma.

Dico così perché tra i tanti diversi ambiti di assunzione di ayahuasca in cui ho transitato ce ne sono stati anche di non sani, e in questo gruppo c’erano sia persone che suonavano dal vivo, sia persone che mettevano musica registrata e sia chi si improvvisava sciamano. Non è mai una questione di forma, non serve a nulla soffermarsi sui dettagli, bisogna restare aperti con la mente e soprattutto con il cuore.

Sarà che più apprendo e meno mi sento di tracciare confini o ergere muri. Più mi si allargano gli orizzonti e più mi sento di includere invece di separare. Probabilmente in passato sono stata anche io tra le schiere di quelli che consideravano il proprio modo di bere ayahuasca l’unico possibile e immaginabile. Proprio per questo dico che sono quelli con meno esperienza che si trincerano dietro una forma, quell’unica forma che conoscono. Finora.

Io no. Io oggi non ho più bisogno di dire che la mia tradizione è migliore delle altre, per sentirmi al sicuro.

Come diceva la grande Camucha, la prima sciamana con cui ho lavorato in Perù: «la miglior protezione da qualsiasi male è un cuore puro».

 

Simona Adriani

Si laurea in Sociologia nel 2001 alla Sapienza di Roma, con una tesi sull'uso contemporaneo di sostanze psichedeliche. È ricercatrice spirituale dal 2004 e apprendista di medicina tradizionale amazzonica dal 2017. È autrice della trilogia autobiografica "Storia d'Amore e d'Ayahuasca".

6 commenti

  1. Ciao Simona, volevo portarti la mia testimonianza dopo aver partecipato a diverse tipologie di cerimonia e volevo fare alcune considerazioni in merito al tuo podcast. Ho partecipato a cerimonie sia con musica suonata e cantata dal vivo e sia a cerimonie con musica registrata, a cerimonie con shamani sia a cerimonie con facilitatori e la differenze non sta nella tipologia di musica ma in una serie di fattori. Il principale e fondamentale è come dici tu, “il conduttore”. Ho trovato shamani e facilitatori che non mi hanno lasciato nulla ed altri che sono riusciti a far germogliare qualcosa dentro di me. Un altro fattore, per me, fondamentale è l’integrazione mattiniera all’esperienza notturna, dove condividere quello che, ognuno di noi ha maturato durante il viaggio ha fatto la differenza. Sono, peraltro, d’accordo con te che non esiste il meglio assoluto quando si parla di spiritualità, esiste solo l’esperienza, che per quanto mi riguarda, è infinita.

    1. Ciao Gianfranco, grazie! Si anche io la penso come te, mi piace proprio il termine che hai usato: infinita! Si, l’esperienza spirituale ha veramente infinite forme. Un grandissimo abbraccio!

  2. Beh, concordo con tutto, e a me è bastata una “esperienza” e si è aperta la porta del cuore verso tutti i vari “ME” verso i quali mantenevo “distanze” e verso tutti, la famosa, in ambito buddista, Karuna, sentita così forte per la prima volta fin dentro le ossa.

    1. Ciao Luciano, grazie della tua testimonianza. Sono contenta che la mamacita ti ha trattato bene 🙂

  3. La miglior difesa è…un cuore puro.

    In questa frase c’è tutto l’universo.

    Grazie.

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