L’ayahuasca può dare dipendenza?

con decreto ministeriale del 23 febbraio del 2022 il governo italiano ha inserito l’ayahuasca in tabella 1 (leggi qui »). Questo articolo non vuole incitare all’uso dell’ayahuasca ma solo informare, in un’ottica di riduzione del danno, chi ne continui ugualmente a far uso.

Quella voglia a tornare ancora e ancora a bere ayahuasca: chiamata dello spirito o dipendenza da una ‘droga’?

di Simona Adriani

Oggi cercherò di rispondere a una domanda che mi pongono in molti, che ci poniamo in molti, sarebbe meglio dire, perché sfido chiunque abbia mai provato ayahuasca in vita sua a dirmi che non gli è venuto in mente almeno una volta.

La domanda sorge quasi spontanea in chiunque entri in contatto con l’ayahuasca, chi no la prova se lo chiede per la scontata equazione “sostanza che altera la coscienza uguale droga”, quindi dipendenza. Chi la prova se lo chiede per via di quel desiderio irrefrenabile di voler tornare ancora e ancora e ancora a partecipare alle cerimonie per sperimentarne gli effetti.

Ai primi dico semplicemente che l’ayahuasca non è una droga. Punto. E non provoca dipendenza, in quel senso lì. Ci sono fior fiore di studi scientifici accreditati, seri, che concludono che l’ayahuasca non dà nessuna dipendenza, ma anzi semmai contribuisce a curarle, le dipendenze da stupefacenti.

Come alcuni di voi già sapranno sono nati diversi centri medici, nei paesi in cui l’ayahuasca è pienamente legale, che usano l’ayahuasca come supporto nelle terapie di recupero dalle tossicodipendenze. Il più famoso è Takiwasi in Perù, ma ne sono sorti diversi anche in Brasile, e tutti con ottimi risultati.

Quindi no, l’ayahuasca non è una droga e non dà dipendenza, in quel senso lì.

Ai secondi, quelli che si chiedono per quale motivo sentano la voglia periodicamente di tornare a bere ayahausca e pensano «ma non sarà mica una sorta di dipendenza?», rispondo ugualmente no, con la stessa certezza.

Me lo sono chiesta anche io nel corso del tempo, soprattutto i primi tempi, è normale avere dubbi, ci hanno instillato paure di ogni tipo, soprattutto in relazione alle “droghe” e agli stati alterati di coscienza, è abbastanza normale che sorgano dubbi. Ma la risposta che mi davo sempre era molto semplice: «ma se mi sta facendo bene, se la mia vita e soprattutto la mia salute stanno migliorando, ma di che stiamo parlando? Dipendenza da cosa?»

Ovvero, si può parlare di dipendenza nei confronti di qualcosa che fa bene? Perché allora si dovrebbe parlare di dipendenza per qualsiasi cosa verso cui sentiamo attrazione. Allora io sono anche dipendente dalle vacanze, perché ogni 2/3 mesi ne sento disperatamente bisogno!»

Ecco forse per chiarire meglio il concetto dovrei esaminare meglio il termine dipendenza.

Cosa intendiamo per dipendenza?

Nel caso dell’uso comune del termine, quindi non dell’uso medico né farmacologico, per dipendenza si intende un comportamento patologico che ci spinge a fare qualcosa malgrado il farlo procuri conseguenze negative alle nostre vite e alla nostra salute. Il classico è il rapporto di dipendenza dalle droghe, dove nonostante evidentemente la sostanza provochi un decadimento fisico e un’alienazione sociale del soggetto che la consuma, questi non può farne a meno.

Ma nello stesso contenitore troviamo anche la dipendenza dal gioco, la dipendenza dal sesso, la dipendenza da internet.. lo schema è sempre quello: la cosa oggetto della mia dipendenza mi crea problemi ma io non riesco ugualmente a farne a meno.

Ecco, allora, detto questo, dove sta la dipendenza, rispetto all’ayahuasca?

Partecipare a cerimonie di ayahuasca non crea questo circolo vizioso di astinenza per cui è necessario sopra ogni cosa partecipare a una cerimonia altrimenti si sta male. Quel desiderio che spinge a voler partecipare ancora e ancora è un sano istinto dettato dal nostro essere interiore che reclama a gran voce di prendere una boccata d’aria!

Lo stato di coscienza amplificato, la pace interiore e la chiarezza mentale che si sperimentano durante e dopo una cerimonia di ayahauasca sono il sintomo di una guarigione  a cui la nostra anima anela da tempo immemorabile: è quindi normale che sentiamo questa spinta a ripetere l’esperienza più e più volte, è una spinta sana, non ha nulla a che vedere con la dipendenza.

Altrimenti si dovrebbe parlare di dipendenza nei confronti praticamente di qualsiasi cosa. Anche dallo yoga: perché ho questa dannata voglia di mettermi sempre sul tappetino perché dopo mi sento così bene.

E a proposito di yoga qui c’è un punto: alcuni si fanno proprio condizionare da un pregiudizio molto diffuso nell’ambiente spirituale, ovvero che certi stati mistici, certe aperture di coscienza, se si ottengono attraverso l’uso di sostanze non sono validi.

Ecco, anche su questo mi sento di spezzare una lancia a favore: la maniera in cui l’ayahuasca facilita il raggiungimento di certi stati fa si che in futuro questi siano più facilmente raggiungibili, anche attraverso altre tecniche. Perché è come se allo stesso tempo pulisse e aprisse i canali energetici che favoriscono l’insorgere di questi stati e lasciasse tracce nel nostro sistema, che poi sarà più facile ripercorrere anche senza l’uso di ayahuasca.

Quindi anche in questo caso nessuna dipendenza, l’ayahuasca è una palestra, una palestra che allena i muscoli dello spirito. A qualcuno basta meno tempo, a qualcuno ne serve di più, altri vengono poi chiamati a fare gli allenatori. Ma si può lasciare la palestra in qualsiasi momento, nessuno andrà in crisi di astinenza, questo è garantito.

Quella nostalgia, quella chiamata che ogni tanto sentiamo e che ci fa venire in mente «mah! Quasi quasi qui mi ci vorrebbe una cerimonia!» è qualcosa di assolutamente sano con cui la nostra anima ci invita a guarire.

Per ultimo lasciatemi dire che ciò che dovrebbe essere scontato ma meglio dirlo che non dirlo: tutto questo vale quando stiamo parlando di contesti sani, gestiti da persone competenti, che fanno lo screening necessario ad evitare che alle loro cerimonie partecipino persone con malattie psichiatriche, che rappresentano una controindicazione. E quando ovviamente a gestire i gruppi ci sono persone che non hanno nessun interesse a che le persone sviluppino una dipendenza per avere vacche da mungere.

In questo genere di attività non ci dovrebbe essere mai alcun tipo di spinta alla partecipazione, la richiesta deve nascere assolutamente in modo spontaneo nella persona che vuole partecipare. Se vi sentite pressati e chiamati con troppa insistenza lasciate immediatamente in contesto in questione.

Altrimenti altro che a una semplice dipendenza andate in contro!

Simona Adriani

Si laurea in Sociologia nel 2001 alla Sapienza di Roma, con una tesi sull'uso contemporaneo di sostanze psichedeliche. È ricercatrice spirituale dal 2004 e apprendista di medicina tradizionale amazzonica dal 2017. È autrice della trilogia autobiografica "Storia d'Amore e d'Ayahuasca".

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.